
Appendice è un libro di prosa di Alberto Cellotto pubblicato da Ronzani Editore nel 2023.
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La distribuzione di Ronzani Editore è di A.L.I. (Agenzia Libraria International).Qui la scheda del libro Appendice nel sito di A.L.I.
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In copertina c'è un collage di Nicoletta Bidoia, serie Le soglie (2018).
La bandella di Matteo Giancotti
Per chi scrive quest’uomo? Tornato in Veneto dal Canada, passati i cinquanta, senza più legami e vicino a una soglia invisibile, perché scrive? Il suo è un alfabetiere di cose apparentemente casuali, da poco apparse alla vista (o all’udito), oppure riemerse da lontana memoria. Atomi di prosa, forse scritti per destinatari diversi e per lo più ignoti. Meno li conosce, più lo scrivente si affida a loro; non pretende reciprocità, ma i suoi modi risentiti e talvolta irritanti implicano pure una forma di contatto in qualche profondità perduta.
Le cose appaiono, fermate in queste righe, in una posizione sospesa, fuori dal tempo, cariche di un significato che sfugge ma è lì, prossimo e tangibile nel suo diverso alfabeto. Diversi sono anche il custode del cimitero coi suoi traffici, e la signora che fa le punture, figure alla Lynch se non fosse per qualcosa di ruvido che riporta alla realtà, pure alterata, di questi Last Days che gocciolano piano sulla pagina. Ricordi, polemiche interne e intime che rivendicano la necessità della cultura (ma quale?); e soprattutto percezioni: natura (sì, esiste ancora), quinte di monti, un fiume e i colli, casolari diroccati, case ovunque piantate in un paesaggio finalmente muto, senza più connotazioni prevedibili.
Le cose appaiono, fermate in queste righe, in una posizione sospesa, fuori dal tempo, cariche di un significato che sfugge ma è lì, prossimo e tangibile nel suo diverso alfabeto. Diversi sono anche il custode del cimitero coi suoi traffici, e la signora che fa le punture, figure alla Lynch se non fosse per qualcosa di ruvido che riporta alla realtà, pure alterata, di questi Last Days che gocciolano piano sulla pagina. Ricordi, polemiche interne e intime che rivendicano la necessità della cultura (ma quale?); e soprattutto percezioni: natura (sì, esiste ancora), quinte di monti, un fiume e i colli, casolari diroccati, case ovunque piantate in un paesaggio finalmente muto, senza più connotazioni prevedibili.
Trama, non trama, trama, non trama
La diagnosi di una malattia incurabile coincide con l’inizio di un’appendice della vita, un tratto terminale nel quale i giorni diventano davvero contati e l’orizzonte di cui siamo fatti inizia ad assumere contorni più certi e definitivi. Chi scrive questa sorta di diario-appendice – un cinquantenne di cui ignoriamo il nome, impiegato da sempre nel ramo assicurativo-bancario – ha appena ricevuto una simile diagnosi in Canada, dove risiede da sedici anni. Il parere medico, che arriva nel momento in cui volge al termine il rapporto con la moglie Annelise, spinge quest’uomo a tornare in Veneto, al suo paese d’origine, per trascorrere vicino ai genitori i mesi che gli restano. Tuttavia, in seguito alla morte ravvicinata di entrambi, si troverà invece solo, senza legami parentali, con un’improvvisa obbedienza alla scrittura e con la compagnia ondivaga di un custode cimiteriale segaligno e imprevedibile, con il quale inizierà a trascorrere buona parte delle giornate.
Con riluttanza il malato segue il piano di terapie che gli consentono di condurre una vita quasi normale per alcuni mesi, di vagare e osservare, di ricordare e scrivere con continuità, persino di nuotare qualche vasca in piscina e montare su pagina i pezzi di una vita. Nel testo che prende forma prima in vecchie agende intonse della banca e poi nel file del computer, meditazioni e frammenti di passato si alternano agli incontri e agli accadimenti del presente, finanche agli episodi di cronaca che riattivano tortuosi percorsi di memoria.
Che fare? Vivere o scrivere? Per il protagonista la scrittura diventa un’”interruzione della vita”, prima dell’interruzione definitiva che la medicina gli ha già prospettato. Eppure, proprio scrivendo, praticando questa “secolare prostituzione della scrittura”, così intrecciata all’umana gloria, succede qualcosa di inatteso: alcuni personaggi di questa narrazione, il custode e gli amici ritrovati al paesello, i conoscenti e la signora che talvolta lo raggiunge per un’iniezione, la madre e la sua morte misteriosa, quel che rimane del rapporto con Annelise e della corrispondenza di questa con il suocero, le frequentazioni amorose del suo passato iniziano a convergere verso una fine, anzi, verso la fine che ogni storia sempre pretende. E questa fine sarà a sua volta un’appendice, un’appendice di un’appendice, dove resta sospeso un pensiero dubbioso su quanto abbiamo iniziato a chiamare fine-vita e che per ora pare non avere un nome migliore.
Con riluttanza il malato segue il piano di terapie che gli consentono di condurre una vita quasi normale per alcuni mesi, di vagare e osservare, di ricordare e scrivere con continuità, persino di nuotare qualche vasca in piscina e montare su pagina i pezzi di una vita. Nel testo che prende forma prima in vecchie agende intonse della banca e poi nel file del computer, meditazioni e frammenti di passato si alternano agli incontri e agli accadimenti del presente, finanche agli episodi di cronaca che riattivano tortuosi percorsi di memoria.
Che fare? Vivere o scrivere? Per il protagonista la scrittura diventa un’”interruzione della vita”, prima dell’interruzione definitiva che la medicina gli ha già prospettato. Eppure, proprio scrivendo, praticando questa “secolare prostituzione della scrittura”, così intrecciata all’umana gloria, succede qualcosa di inatteso: alcuni personaggi di questa narrazione, il custode e gli amici ritrovati al paesello, i conoscenti e la signora che talvolta lo raggiunge per un’iniezione, la madre e la sua morte misteriosa, quel che rimane del rapporto con Annelise e della corrispondenza di questa con il suocero, le frequentazioni amorose del suo passato iniziano a convergere verso una fine, anzi, verso la fine che ogni storia sempre pretende. E questa fine sarà a sua volta un’appendice, un’appendice di un’appendice, dove resta sospeso un pensiero dubbioso su quanto abbiamo iniziato a chiamare fine-vita e che per ora pare non avere un nome migliore.
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